LA CORTE D'APPELLO DI FIRENZE 
                          Sezione I Civile 
 
    Composta dai Signori Magistrati: 
        Dott. Giulio De Simone Presidente rel.; 
        Dott. Andrea Riccucci Consigliere; 
        Dott. Domenico Paparo Consigliere; 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile  iscritta
al n. 392/2014 del ruolo della  volontaria  giurisdizione  di  questa
Corte, e vertente tra Francesco Gaetano Caltagirone, rappresentato  e
difeso dagli Avv.ti Bruno Manzone e dagli Avv.ti Proff. Ilaria  Pagni
e Giuseppe Guizzi in forza  di  procura  a  margine  del  ricorso  in
opposizione ed elettivamente domiciliato in Firenze presso lo  studio
degli ultimi due in via Ciro Menotti n. 6, ricorrente  e  Commissione
Nazionale per  le  Societa'  e  la  Borsa  (CONSOB)  in  persona  del
presidente e legale rappresentante Dott.  Giuseppe  Carlo  Ferdinando
Vegas, rappresentata e  difesa  dagli  Avv.ti  Salvatore  Providenti,
Gianfranco  Randisi  ed  Elisabetta  Cappariello,  appartenenti  alla
Consulenza legale interna, come da procura a margine  della  comparsa
di costituzione e  risposta,  elettivamente  domiciliati  in  Firenze
presso lo studio dell'Avv. Andrea Vannini, studio Paratore  Pasquetti
&  Partners,  in  via  Pasquale  Villari  n.  39,  resistente  e  con
intervento del P.G. 
    La Corte letti gli atti del procedimento, osserva quanto segue: 
        la Commissione Nazionale per le Societa' e la Borsa (d'ora in
avanti, anche solo Consob) con delibera n. 18924 in  data  21  maggio
2014 ha applicato a  Francesco  Gaetano  Caltagirone  (unitamente  ad
altri esponenti della Banca Monte  dei  Paschi  di  Siena  variamente
sanzionati - obbligata in solido la Banca Monte dei Paschi  di  Siena
S.p.a.) una sanzione  pecuniaria  amministrativa  per  una  serie  di
violazioni asseritamente compiute nella qualita'  di  componente  del
consiglio d'amministrazione della Banca Monte  dei  Paschi  di  Siena
S.p.a.; 
        avverso tale delibera ha proposto opposizione a questa Corte,
ex art. 195 comma 4 del d.lgs. 58/98, l'interessato, deducendo, oltre
a motivi di merito, motivi attinenti ai  connotati  del  procedimento
sanzionatorio dinanzi alla Consob ed alla disciplina dell'opposizione
dinanzi alla corte d'appello; 
        in  sintesi,  l'opponente  ha  sostenuto  che   la   delibera
sanzionatoria deve ritenersi illegittima per essere stati  violati  i
principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti  istruttori
e della distinzione fra funzioni  istruttorie  e  funzioni  decisorie
posti dall'art. 195 comma 2 del TUF,  e  quelli  posti  dall'art.  24
comma 1 della L. 262/2005, e cio' in quanto:  la  Consob  allo  scopo
della disciplina al suo interno del procedimento sanzionatorio  aveva
adottato le delibere n. 15131 del 05 agosto 2005 e n.  15086  del  21
giugno 2005 (la prima relativa ai  termini  ed  al  responsabile  del
procedimento, e  la  seconda  agli  altri  aspetti  funzionali);  per
effetto di quanto sopra gli  interessati  hanno  la  possibilita'  di
presentare deduzioni alli Ufficio  Sanzioni  Amministrative  (cui  in
precedenza  la  Divisione  operativa  ha  trasmesso  gli   atti   del
procedimento  e  le  sue  valutazioni),  e  questo,  considerate   le
valutazioni   della    Divisione    operativa    e    le    deduzioni
dell'interessato,  formula  le  sue  conclusioni   in   ordine   alla
sussistenza o meno della violazione ed alla misura della sanzione  da
applicare, conclusioni delle quali  e'  destinataria  la  Commissione
che, in composizione collegiale, deve poi stabilire se  accogliere  o
meno  la  proposta   dell'Ufficio   Sanzioni   Amministrative;   tale
procedimento contrasta con il principio del contraddittorio in quanto
nella fase finale del procedimento ed  immediatamente  precedente  la
decisione della Commissione il soggetto interessato non e'  posto  in
grado di svolgere le sue difese; cio'  in  quanto  l'interessato  non
puo' interloquire con la Commissione (in sostanza la  Commissione  in
composizione collegiale non  puo'  "...  farsi  una  sua  idea  della
vicenda oggetto della proposta sanzionatoria e si limita a ratificare
l'operato svolto dagli uffici'  -  cosi'  a  pag.  6  dell'  atto  di
opposizione); la violazione del principio di  conoscenza  degli  atti
istruttori deriva dal fatto che  la  proposta  dell'Ufficio  Sanzioni
Amministrative non viene  portata  a  conoscenza  degli  interessati,
nonostante contenga sempre elementi nuovi quali quelli attinenti alla
quantificazione della sanzione amministrativa in relazione ai criteri
di cui all'art. 11 della L. 689/1989; e' esclusa la  distinzione  tra
funzioni istruttorie e decisorie in quanto,  nonostante  vi  sia  una
distinzione  di  ruoli  fra  gli  Uffici,  non  v'e'  una   "concreta
indipendenza nell'esame delle questioni sottoposte": cio'  in  quanto
la  Commissione,  ricevendo   la   proposta   dell'Ufficio   Sanzioni
Amministrative "perde la sua autonomia di giudizio"  in  quanto  alla
proposta non si contrappone un'attivita' difensiva dell'interessato e
la  Commissione  non  ha  poteri  di  indagine   ed   approfondimento
cosicche',  di  fatto,  l'attivita'  decisoria  che  dovrebbe  essere
demandata  alla   Commissione   e'   rimessa   all'Ufficio   Sanzioni
Amministrative preposto ad attivita' istruttoria; elementi a conforto
della  tesi  della  illegittimita'   dello   specifico   procedimento
sanzionatorio devono trarsi dalla sentenza della  Corte  Europea  dei
Diritti dell'Uomo  in  data  04  marzo  2014  (Grande  Stevens/Italia
ricorso n. 18640/10) con  la  quale,  in  relazione  al  procedimento
sanzionatorio di cui all'art. 187 septies TUF (eguale a quello di cui
all'art. 195 dello stesso TUF), sono stati accertati vizi dovuti:  a)
al fatto che la relazione dell'Ufficio  Sanzioni  Amministrative  non
viene comunicata  agli  interessati  i  quali,  quindi,  non  possono
difendersi proprio sul documento in  relazione  al  quale  la  Consob
fonda  la  propria  decisione;  b)  gli  interessati  non  hanno   la
possibilita' di' interrogare o far interrogare le  persone  ascoltate
dagli Uffici della Consob durante l'istruttoria; c)  gli  interessati
non hanno la possibilita' di partecipare alla seduta nella  quale  la
Commissione in composizione collegiale decide sull'applicazione della
sanzione; sempre in tale sentenza della  Corte  Europea  dei  Diritti
dell'Uomo e' stato affermata per la Commissione la sussistenza  della
indipendenza ma non anche dell'imparzialita'  in  quanto  gli  Uffici
preposti all'istruttoria e la Commissione "... non sono che dei  rami
dello stesso organo amministrativo, che agiscono sotto l'autorita'  e
la supervisione di  uno  stesso  Presidente"  e  cio'  comporta  "...
l'esercizio consecutivo delle funzioni di inchiesta  e  di  decisione
nel seno di una stessa istituzione, cio'  che  e'  incompatibile,  ad
avviso della Corte, con esigenza di imparzialita'"; 
        procedimento di  opposizione  dinanzi  alla  corte  d'appello
(art. 195 comma 4 del d.lgs. 58/98) e' camerale, come  reso  evidente
dall'art. 195 comma 7 del d.lgs.  cit  ("La  corte  d'appello  decide
sull'opposizione  in  camera  di  consiglio,  sentito   il   pubblico
ministero, con decreto motivato"); 
        gli opponenti nella sostanza deducono l'illegittimita'  della
delibera  sanzionatoria  per  carenze  di  contraddittorio   che   si
collocano all'interno del procedimento Consob, ma non  pare  corretto
valutare  le  garanzie  di  difesa  per  segmenti  del  procedimento,
prescindendo dalla considerazione della fase eventuale, a  cognizione
piena,  dinanzi  all'autorita'  giudiziaria;  al   riguardo   occorre
richiamare i principi espressi dalla Corte EDU nella  detta  sentenza
n. 18640 del 4 marzo 2014 resa in un caso  in  cui  si  discuteva  di
sanzioni per  illeciti  ex  art.  187  ter  TUF  dalla  Corte  stessa
qualificate come sostanzialmente di natura penale; giova al  riguardo
ricordare che giusta tale sentenza (cfr. paragrafo 94) "...  al  fine
di stabilire la  sussistenza  di  una  «accusa  in  materia  penale»,
occorre tener presente tre criteri: la qualificazione giuridica della
misura  in  causa  nel  diritto  nazionale,  la  natura   stessa   di
quest'ultima, e la natura e il grado di  severita'  della  «sanzione»
(Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82, serie A  n.  22).
Questi criteri sono peraltro alternativi e non cumulativi:  affinche'
si possa parlare di «accusa in materia penale» ai sensi dell'articolo
6 § 1, e' sufficiente che il reato in causa sia  di  natura  «penale»
rispetto alla  Convenzione,  o  abbia  esposto  l'interessato  a  una
sanzione che, per natura e livello  di  gravita',  rientri  in  linea
generale nell'ambito della «materia penale». Cio'  non  impedisce  di
adottare un  approccio  cumulativo  se  l'analisi  separata  di  ogni
criterio non permette di arrivare ad una conclusione chiara in merito
alla sussistenza di  una  «accusa  in  materia  penale»  (Jussila  c.
Finlandia (GC), n. 73053/01, §§ 30 e 31, CEDU 2006-XIII, e Zaicevs c.
Lettonia, n. 65022/01, § 31,  CEDU  2007-IX  (estratti))";  parimenti
occorre  richiamare  la  giurisprudenza   della   Corte   cost.   (in
particolare sentenza n. 104 del 2014) per la quale tutte le misure di
carattere punitivo afflittivo (ivi comprese evidentemente quelle  che
l'ordinamento interno qualifica come sanzioni amministrative)  devono
essere soggette alla medesima disciplina  della  sanzione  penale  in
senso stretto (principio espresso agli effetti della irretroattivita'
delle disposizioni che introducono sanzioni amministrative); 
        premesso che non e' incompatibile con la Convenzione affidare
la repressione di violazioni ad una autorita' amministrativa quale e'
la Consob (paragrafo 138 sentenza Corte EDU cit.), il rispetto  della
Convenzione, a prescindere da carenze di contraddittorio che  possano
essersi verificate in alcune fasi del procedimento, viene  assicurato
dalla possibilita' di ricorrere ad un giudice dotato di giurisdizione
piena quale e' la corte d'appello; la conclusione cui  e'  giunta  la
Corte EDU e' stata,  quindi,  nel  senso  che  "...  il  procedimento
dinanzi alla CONSOB non soddisfacesse tutte le esigenze dell'articolo
6 della Convenzione, soprattutto per quanto riguarda la parita' della
armi tra accusa e difesa e il  mancato  svolgimento  di  una  udienza
pubblica che  permettesse  un  confronto  orale";  nonostante  quanto
precede la Corte ha escluso una  automatica  violazione  dell'art.  6
della Convenzione proprio  in  quanto:  1)  non  era  contrario  alla
Convenzione che le sanzioni, giusta  la  normativa  interna,  fossero
inflitte da  un'autorita'  amministrativa  quale  e'  la  Consob;  2)
occorreva  che  i  soggetti  destinatari  passivi  dei  provvedimenti
sanzionatori potessero impugnarli dinanzi ad un tribunale in grado di
dare una decisione nel rispetto dell'art.  6  della  Convenzione;  3)
cio' era avvenuto nella fattispecie  in  quanto  gli  interessati  si
erano avvalsi della possibilita' di impugnare  le  sanzioni  inflitte
dinanzi alla corte d'appello di Torino; il problema secondo la  Corte
EDU atteneva allo stabilire se tale  Corte  d'appello  fosse  "organo
dotato di piena giurisdizione"  ai  sensi  della  sua  giurisprudenza
(questione risolta in senso affermativo), e se udienza svolta dinanzi
a tale giudice fosse stata pubblica; e' proprio in  riferimento  alla
assenza  di  udienza  pubblica  che  la  Corte  EDU  e'  giunta  alla
conclusione della violazione della Convenzione ("161.  Alla  luce  di
quanto esposto, la  Corte  ritiene  che,  anche  se  il  procedimento
dinanzi alla CONSOB non ha soddisfatto le esigenze di  equita'  e  di
imparzialita'  oggettiva  dell'articolo  6   della   Convenzione,   i
ricorrenti hanno beneficiato del successivo controllo da parte di  un
organo indipendente e imparziale dotato di  piena  giurisdizione,  in
questo caso la corte d'appello di Torino. Tuttavia, quest'ultima  non
ha tenuto un'udienza pubblica, fatto che,  nel  caso  di  specie,  ha
costituito una violazione dell'articolo 6 § 1  della  Convenzione.");
la pubblicita' dell'udienza, nell'assunto espresso dalla Corte EDU in
tale decisione, ha,  quindi,  assunto  una  funzione  centrale  e  di
necessaria chiusura del sistema delle garanzie; 
        per altro la giurisprudenza della Corte EDU  in  ordine  alla
imprescindibilita' della udienza pubblica agli effetti  del  rispetto
dell'art. 6 § 1 della Convenzione non esprime un  principio  assoluto
valido per tutti i casi; ad es. nella sentenza in data 23/11/2006 nel
caso Jussila contro Finlandia la Corte EDU  dopo  aver  ribadito  che
tenere  un'udienza  pubblica  e'  un  principio  fondamentale   posto
dall'art. 6 della Convenzione e che tale principio e' di  particolare
importanza nella materia penale, ha osservato che "...  l'obbligo  di
tenere un'udienza pubblica non e' assoluto. L'articolo  6  non  esige
necessariamente di tenere udienza in tutti i procedimenti. Cio' vale,
in  particolare,  per  i  casi  che  non   sollevano   questione   di
credibilita'  o  che  non  scatenano  controversia  sui   fatti   che
necessitano di  una  udienza  e  per  i  quali  i  tribunali  possono
pronunciarsi in modo equo e ragionevole sulla base delle  conclusioni
presentate dalle parti e di altri  elementi.  Inoltre,  la  Corte  ha
riconosciuto che le  autorita'  nazionali  possono  tener  conto  dei
problemi di efficienza ed economicita', ritenendo, per  esempio,  che
l'organizzazione  sistematica  di  dibattiti  possa   costituire   un
ostacolo alla particolare diligenza richiesta in materia di sicurezza
sociale ed,  in  definitiva,  impedire  il  rispetto  di  un  termine
ragionevole ai sensi dell'  articolo  6  §  1....";  ancora  in  tale
sentenza e' stato osservato che "... in un procedimento di  prima  ed
ultima istanza,  l'udienza  deve  essere  tenuta,  salvo  circostanze
eccezionali che giustifichino di farne a  meno  l'esistenza  di  tali
circostanze dipende in gran parte dalla natura dei problemi di cui  i
tribunali sono investiti, e non dalla frequenza dei casi  in  cui  si
presentano..."; 
        la sanzione inflitta agli opponenti deve  essere  qualificata
di natura lato sensu  penale,  nonostante  l'ordinamento  interno  la
qualifichi formalmente come sanzione amministrativa, in  quanto  sono
vincolanti l'interpretazione data dalla Corte EDU e l'indicazione  da
essa fornita dei criteri in relazione ai quali  vagliare  l'effettiva
natura  di  una  sanzione;  chiarito  che  la   qualificazione   data
dall'ordinamento  interno  non  e'  dirimente,  in   quanto   occorre
verificare se una sanzione sia di natura "penale" agli effetti  della
applicazione  della  Convenzione,  non  puo'  non   considerarsi   la
particolare gravita' afflittiva della  sanzione  pecuniaria  prevista
dall'art. 190 del d.lgs. 58/98, per la violazione dell'art. 21  dello
stesso d.lgs. in un  importo  da  €  2.500,00  ad  €  250.000,00;  al
riguardo occorre precisare che deve aversi riguardo, agli effetti che
qui interessano, alla sanzione edittale e non a  quella  in  concreto
irrogata in quanto, ovviamente,  individuazione  della  natura  della
sanzione  prescinde  dalle  circostanze   che   ne   determinano   la
modulazione fra il minimo ed il massimo; convince ulteriormente della
detta natura lato sensu penale l'esclusione, disposta  dall'art.  190
del  d.lgs.  58/98  dell'applicabilita'  dell'art.   16   L.   689/81
(pagamento in misura ridotta), e soprattutto il regime  pubblicitario
proprio delle sanzioni Consob;  al  riguardo  occorre  ricordare  che
giusta l'art. 195 comma  3  del  d.lgs  58/98  "Il  provvedimento  di
applicazione delle sanzioni e' pubblicato per estratto nel Bollettino
delle Banca d'Italia o della CONSOB. La Banca d'Italia o  la  CONSOB,
tenuto  conto  della  natura  della  violazione  e  degli   interessi
coinvolti, possono stabilire modalita' ulteriori per dan  pubblicita'
al provvedimento, ponendo le  relative  spese  a  carico  dell'autore
della violazione ovvero escludere la pubblicita'  del  provvedimento,
quando  la  stessa  possa  metter  gravemente  a  rischio  i  mercati
finanziari  o  arrecare  un  danno  sproporzionato  alle  parti':  la
previsione di pubblicita' (nel caso in esame e' stata  confermata  la
pubblicita' normalmente prevista per estratto  nel  Bollettino  della
Consob), estensibile a  forme  ulteriori  (quali  la  pubblicita'  su
quotidiani), evidenzia ulteriormente il  carattere  afflittivo  della
sanzione, il ragione delle ripercussioni negative  sull'immagine  del
soggetto colpito dal provvedimento sanzionatorio; 
        le considerazioni che precedono evidenziano una questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 195 comma 7 del  d.lgs.  58/98,
norma che potrebbe essere in contrasto con l'art. 117 Cost. in quanto
non conforme all'art. 6 della Convenzione; 
        la questione oltre ad essere non manifestamente infondata, e'
rilevante in questo giudizio in  quanto,  accertata  la  natura  lato
sensu penale della sanzione giusta i vincolanti criteri c valutazione
posti dalla Corte EDU, dovendo questa Corte d'appello necessariamente
seguire il rito camerale imposto dall'art. 195  comma  7  del  d.lgs.
58/98 (senza che sia possibile una diversa interpretazione, salvo una
inammissibile disapplicazione della norma, e senza che sia  possibile
introdurre il correttivo della pubblicita' dell'udienza che,  di  per
se', renderebbe non camerale il procedimento),  ed  essendo  il  rito
camerale,  per  definizione,  caratterizzato  dalla  assenza  di  una
pubblica udienza, essendo  il  giudizio  c  opposizione,  secondo  la
giurisprudenza della Corte EDU suscettibile di integrare, il presenza
di determinate condizioni, il sistema di garanzie che deve  connotare
procedimento sanzionatorio, ove un giudizio che si svolge con il rito
camerale fosse al riguardo inidoneo, la conclusione obbligata sarebbe
l'eccepita  illegittimita'  del  procedimento  sanzionatorio  e   del
provvedimento sanzionatorio che lo conclude; 
        preme  rilevare  che  il  sospetto  di  non   conformita'   a
Costituzione (art. 117 comma 1) investe l'art. 195 comma 7 del d.lgs.
58/98, e non anche le norme del codice di rito che prevedono il  rito
camerate; la Corte costituzionale in ordine a tale rito  si  e'  gia'
espressa, ed occorre segnatamente ricordare la sentenza 543/1989  con
la quale e' stato affermato che secondo  la  costante  giurisprudenza
della Corte stessa "... il procedimento camerale non e' di per se' in
contrasto  con  il  diritto  di  difesa,  in  quanto  l'esercizio  di
quest'ultimo e' variamente configurabile dalla  legge,  in  relazione
alle  peculiari  esigenze  dei  vari  processi  'purche'  ne  vengano
assicurati  lo  scopo  e  la  funzione,   cioe'   la   garanzia   del
contraddittorio, in modo che sia escluso ogni ostacolo a  far  valere
le ragioni delle parti"; nella stessa sentenza e' stato osservato che
"... L'adozione della procedura camerale, anche nei casi in cui si e'
in presenza di elementi di giurisdizione contenziosa, risponde dunque
a criteri di politica legislativa, inerenti alla valutazione  che  il
legislatore compie circa opportunita' di adottare  determinate  forme
processuali in relazione alla natura degli interessi da regolare  ed,
in quanto tale, sfugge quindi  al  sindacato  di  questa  Corte  'nei
limiti in  cui,  ovviamente,  non  si  risolve  nella  violazione  di
specifici   precetti   costituzionali   e   non   sia   viziata    da
irragionevolezza (ordinanza n. 748 del 1988 e  sentenza  n.  142  del
1970)"; la Corte cost.  nella  detta  sentenza,  non  ha  mancato  di
rilevare che il rito camerate non viola il diritto di prova in quanto
"... anche nel rito camerale in appello e' possibile  acquisire  ogni
specie  di  prova  precostituita  e  procedere  alla  formazione   di
qualsiasi prova costituenda, purche' il relativo modo di assunzione -
comunque non formale nonche' atipico - risulti, da  un  lato,  sempre
compatibile con la natura camerale del procedimento,  e,  dall'altro,
non  violi  il  principio  generale  della   idoneita'   degli   atti
processuali al raggiungimento del loro scopo..."; 
        la questione pero' non e' quella  di  stabilire  se  il  rito
camerale assicuri sufficientemente la difesa od  il  contraddittorio,
bensi' quella di stabilire se un'opposizione  avanti  ad  un  giudice
dotato di' giurisdizione piena ma vincolato al  rito  camerale  possa
integrare carenze del procedimento sanzionatorio Consob; una risposta
negativa al quesito porrebbe il detto art. 195 comma 7 del d.lgs.  in
contrasto con l'art. 6 § 1 della Convenzione e,  quindi,  con  l'art.
117 Cost.; il dubbio al  riguardo  non  e'  manifestamente  infondato
stante  la  ricordata  giurisprudenza  della  Corte  EDU  laddove  ha
segnalato la particolare importanza dell'udienza pubblica  quando  si
discute di sanzioni penali; certo, come si  e'  detto,  il  principio
della pubblicita' dell'udienza  non  e'  stato  espresso  in  termini
assoluti,  e  la  necessita'  o  meno  di  una  pubblica  udienza  va
ricostruita in relazione alla natura della questione controversa,  ma
tale operazione si risolve nel giudizio di conformita' all'artt.  117
comma l Cost. della detta norma, conformita' sulla quale questa Corte
non puo' non esprimere un  dubbio  sulla  base  della  giurisprudenza
della Corte EDU (analoga  questione,  per  altro,  risulta  sollevata
recentemente  dalla  Corte  d'appello  di   Genova;   con   ordinanza
10/12/2014 - 08/01/2015).